EQV - Malga Bala-Associazione Carabinieri Paracadutisti Esse Quam Videri
Malga Bala, 75 anni dopo
"di Antonio Russo"
Per la prima volta il nome esatto di “Bala” mi è stato fatto direttamente dalla signora Mafalda Kravanja, la moglie del conduttore della malga, la malga Bala appunto, a casa sua, in un paesino alle porte di Plezzo, attualmente Bovec, dov’ero andato a intervistare suo marito, Lojs, la stessa signora che con altre donne della sua numerosa famiglia avevano la sera di venerdì 24 marzo 1944 gettato sale nero, soda caustica e varichina nel minestrone destinato ai carabinieri rinchiusi in un fienile a Logje. La “Bala” è un territorio montano, alle spalle della grande catena montuosa che parte dal blocco del Mangart e che si osserva molto bene e da vicino scendendo la val Coritenza, da Bretto di Sopra in giù. Quella malga era il posto scelto da Ivan Likar Socian, ex minatore, ex alpino, già dipendente delle miniere di Cave, futuro pensionato con gli altri suoi compari dello Stato Italiano, uno dei capi dei partigiani, praticamente l’ideatore della strage col suo folle progetto di umiliare e in quel modo l’Italia massacrando barbaramente i carabinieri italiani, finendoli col piccone, estrema dimostrazione di odio e di spregio totale. In quell’isola deserta, isolata, super silenziosa, infatti avrebbero potuto fare tutto quello che era stato progettato e senza incorrere in interferenze sia dei tedeschi che degli italiani, presenti in zona in forze, dai soldati della Milizia ai Finanzieri agli alpini. I carabinieri catturati la sera di giovedì 23 marzo 1944 avrebbero potuto ucciderli subito, nell’attentato contro la loro casermetta proprio di fronte alla centralina idroelettrica che stavano difendendo con la loro presenza; invece il programma di Likar e compagni, tra cui un altro italiano figlio di un foggiano, era quello di prelevare i carabinieri con l’inganno, come effettivamente era accaduto poi la sera del 23 marzo, derubare loro e la loro casermetta di ogni vivere e di ogni arma, trascinarli poi in un percorso ghiacciato e isolato su un vecchio sentiero di guerra fino alla malga. Il pellegrinaggio forzato durò tre giorni. La prima notte la trascorsero all’addiaccio sul monte Izgora per ridiscenderne poi la mattina dopo davanti agli sguardi attoniti e impauriti di tanti contadini del posto; poi la lenta camminata per sentieri boschivi fino all’altopiano di Logje, verso la Bala, dove la sera di venerdì furono avvelenati non per ammazzarli, ma per aumentarne le sofferenze, atroci e inimmaginabili. La mattina dopo, sabato 25 marzo 1944, la ripresa della salita fino alla malga dove, dopo aver uncinato il brigadiere Perpignano a testa in giù a una trave della soffitta, uno alla volta legarono i prigionieri con filo spinato, accaprettandoli, e finendoli a picconate, fine riservata secondo il sistema comunista ai propri nemici in segno di estremo dispregio. Uno solo dei 12 era riuscito divincolarsi e a tentare di fuggire dal di dietro della malga, l’unico che poi presenterà i segni dei proiettili sulla schiena. Gli altri tutti maciullati a picconate. Poi uno alla volta, finita la mattanza, i corpi insanguinati dei carabinieri furono trascinati a una trentina di metri, sotto la sporgenza di un grande masso e lì abbandonati al freddo e alla neve, come, tra gli altri, mi hanno testimoniati i diretti esecutori, Lojs Kravanja e Bepi Flais, suo compare. Oltre a uno dei capi insieme a Likar, Silvo Gianfrate detto Srecko, lo stesso commissario politico del territorio, Lojs Hrovat, mi ha confermato il tutto, anche se a dirmelo sono stati decine e decine di altri del posto, i quali per decine di anni avevano vissuto nel terrore di parlare per paura di vendette da parte dei parenti dei partigiani. Poi i partigiani faranno perdere le loro tracce, senza che gli italiani o i tedeschi avessero mosso un dito per beccarli, convinti, specie gli italiani e soprattutto i carabinieri, che i loro compagni si erano fatti prendere da polli, senza opporre alcuna resistenza. I corpi dei poveri massacrati furono trovati per puro caso, giorni dopo, da alcuni tedeschi che si erano persi in montagna e che poi diedero l’allarme, con il conseguente ricupero dei trucidati, i funerali solenni voluti dai tedeschi per dimostrare l’atrocità dei partigiani ecc.
Planina Bala
Chi vuole, può dedicarsi alla lettura del mio libro Planina Bala, giunto alla quinta edizione, dove troverà tutto nei minimi particolari, libro frutto di centinaia e centinaia di interviste, sopralluoghi, analisi, confronti, ricerche, posso dirlo oggi, tra un milione di difficoltà, con gravissimo rischio personale. Ribadisco, la strage di Malga Bala non fu un atto di guerra o un episodio isolato: fu la realizzazione di un progetto diabolico studiato a tavolino per riversare su di loro tutto l’odio, enorme, accumulato negli anni contro gli italiani. Colpendo i carabinieri, in quel modo, i partigiani, intendevano umiliare e colpire l’Italia. Questo lo scopo di tanta violenza. Per queste ricerche e questi libri ho impiegato anni e anni, pieno di benzina dopo pieno, cevapcici e cevapcici, panini e fughe precipitose per evitare di cadere nelle mani della locale polizia che in un brutto periodo , dopo che uno testimone di Saga si era vantato in bar di aver parlato “col giornalista italiano”, mi stavano cercando.
Toni Rinaldi
L’unico, in tutte queste vicende, che meriterebbe una medaglia è Antonio Tranquillo Rinaldi di Cave del Predil, al quale va il merito di aver accompagnato il sottoscritto in quasi tutte le interviste da me fatte e per lunghi anni, spendendo soldi e tempo, anche lui affascinato da tali ricerche, visto poi che conosceva e conosce molto bene il territorio sloveno. Ha assistito e partecipato a interviste, incontri, ricerche, analisi e deduzioni, contribuendo alla grande alla composizione del grande puzzle di Malga Bala. A Cesare Urbica e Federico Buliani il grande merito di aver contribuito all’erezione del tempietto Ossario desinato a cimitero degli Eroi Tarvisiani, tra cui i Carabinieri di Malga Bala e di aver dato l’imput ai primi incontri commemorativi, grazie alla collaborazione diretta di diversi componenti la locale associazione dei carabinieri in pensione. Con loro si è affiancato il sottoscritto che pian piano ha preso in mano l’intera commemorazione di ogni marzo, a cui erano invitati regolarmente carabinieri in pensione e in armi, con gli alti ufficiali ospiti d’onore. Poi, finalmente, quando ai Carabinieri è passato il mal di pancia riconoscendo finalmente che Perpignano e compagni non si erano fatti prelevare “come polli” e quindi hanno riconosciuto che il frutto delle ricerche del sottoscritto era realmente più che veritiero, eccoli che hanno preso, giustamente, sulle proprie spalle la gran parte della commemorazione. Cosa che ringraziando Iddio accade ancora adesso. Grazie a loro dunque la commemorazione di Malga Bala si ripete e sempre in meglio, anche se con tanti scricchiolii che sarebbe bene eliminare del tutto. Non così per gli Eroi della Caserma Italia, dal momento che nessuno, comune di Tarvisio in primis, non ha voluto prendersi sulle spalle la responsabilità della commemorazione annuale. E così, dopo De Damiani e il sottoscritto, purtroppo, l’8 settembre è andato nel dimenticatoio, grave mancanza sociale e storica tarvisiana, dal momento che la Resistenza, quella vera, è nata proprio a Tarvisio e alle porte della Caserma Italia, prima di ogni altra parte. Altre cittadine avrebbero fatto miracoli e cerimonie per non dimenticare, Tarvisio no. Buliani e Urbica, è doveroso riconoscerlo, oltre ai raduni iniziali e all’apporto favorevole fino agli ultimi loro giorni, nulla hanno prodotto per la chiarezza degli avvenimenti e la loro conoscenza e divulgazione storica. Così come altre persone, anche con la divisa di carabiniere addosso, che oltre a copiare la storia dal sottoscritto e far proprie foto e storia senza mai collegarli all’autore, Russo, nulla hanno fatto al riguardo, nonostante si siano appioppati meriti che non esistono affatto. Tutte le loro stampe sono un derivato nudo e crudo delle varie edizioni di Planina Bala. Chi non la pensa così, lo dimostri.